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sabato 29 ottobre 2016

Ritratto di Gian Luigi Rondi

Un mese fa se ne andava Gian Luigi Rondi

« Io i David li faccio dal '58, quindi da sessant'anni. Ero un giovanetto quando ho cominciato a occuparmene. Ogni anno abbiamo rinnovato l'elogio e la difesa del cinema, soprattutto italiano, perché il mio amore e la mia vita sono il cinema, ma soprattutto il cinema italiano. E questo spero che continueranno quest'opera anche i miei successori. Perché eliminare dai nostri amori il cinema sarebbe un gravissimo errore »(Gian Luigi Rondi Nasalli, 2016)

Gian Luigi Rondi Nasalli è stato un critico cinematografico italiano. Decano dei critici italiani
aveva il sorriso sempre pronto e portava un'inconfondibile sciarpa bianca, felliniana. Aveva novantaquattro anni e ha attraversato da protagonista la storia del cinema e del nostro paese, scrivendo fino all'ultimo le sue recensioni. E' stato presidente dell'Accademia del Cinema Italiano e dei Premi David di Donatello e tante altre cose ancora.

Su una Repubblica del 2013 ho trovato un'interessante  intervista di Antonio Gnoli 

e il ritratto  di Riccardo Mannelli.




Gian Luigi Rondi Sono stato un moralista ma ora mi pento
Gian Luigi Rondi "Sono stato un moralista ma ora mi pento" na vita per il cinema. Un potere senza eccezioni, esercitato con blanda ferocia. 

A 92 anni Gian Luigi Rondi ha un solo vero cruccio: non poter sconfiggere il tempo. Eppure è lì, sulla pedana della vita - alto, elegante, lucido, avvolto nell' inconfondibile sciarpa bianca - a duellare con i giorni che passano. Più che di sciabola, va di fioretto. La stoccata deve essere un ricamo. Non necessariamente all' ultimo sangue, dice con qualche punta di ironia. La casa dove vive ha il serio tono borghese che si addice a certe abitazioni dei Parioli: un fasto misurato mi accoglie nel grande salone. Tutto intorno divani, libri, una scrivania colma di carte, e alle pareti un' impressionante serie di ritratti di una donna che scopro in seguito essere la mamma di Rondi. Devozione filiale, penso. Ma è come se in quella testimonianza si annidi la domanda originaria: chi sono veramente? Chi è quest' uomo che, al di là delle mode, per sessant' anni ha monopolizzato la critica cinematografica, raccontato film, descritto personaggi, occupato ruoli di direzione pubblica sopravvivendo a polemiche, accuse, insinuazioni?
Il cinema è un territorio battuto soprattutto dalla sinistra. Come ha fatto lei che giunge da lidi politici più conservatori a ritagliarsi un ruolo così importante? 
«Sono stato un partigiano e un antifascista. E non dell' ultima ora. Fu mio padre, che era tenente dei carabinieri, a trasmettermi certi valori. E poi Adriano Ossicini mi aiutò a capire l' importanza di certe idee. Ho militato nella sinistra cristiana che fu sciolta per ordine di Pio XII, molto scontento del legame con i comunisti. In quel periodo conobbi Giulio Andreotti».
Di quale anno parliamo?
 «Mi pare fosse il 1948, stavo per sposarmi. Ero da un anno il critico ufficiale al quotidiano Il Tempo, fondato e diretto da Renato Angiolillo. Ricordo che Andreotti mi chiese di far parte della giuria alla Mostra del Cinema di Venezia. Capii che era molto interessato al peso e all' importanza che il cinema cominciava ad avere in Italia. Mi portò anche a Cinecittà. Nei suoi progetti c' era l' idea di sistemare nuovamente gli studi che erano allora pieni di sfollati».
Aveva capito che il cinema era uno strumento per la politica? 
«Non posso dirlo. Credo semplicemente che gli piacesse. Tra i politici, soprattutto democristiani, era il più attento al mezzo e alle storie che i film raccontavano».
Lo era al punto che criticò il neorealismo dicendo che i panni sporchi si lavano in famiglia. 
«Non fu lui a pronunciare quella frase, ma un ambasciatore. E comunque io sono sempre stato un sostenitore del neorealismo. Di Rossellini e De Sica soprattutto, per i quali mi sono battuto con convinzione. Quando uscì Ladri di biciclette chiusi l' articolo con un "grazie De Sica", Angiolillo si arrabbiò tantissimo: come è possibile terminare un pezzo di giornale con quella frase? Raccontai l' episodio a Vittorio che mi inviò una lettera con sopra scritto: "Grazie Rondi!". Fino alla fine restammo amici. Era molto charmant e con una vita complicata dal vizio del gioco e praticamente da un doppio matrimonio».
Accennava a Rossellini. 
«Un genio, un avventuriero, generoso, soprattutto con i soldi degli altri, e un donnaiolo. Contemplava i tratti dell' italiano che affascinava il mondo. Ingrid Bergman, dopo aver visto Roma città aperta, gli scrisse una lunga lettera colma di elogi e lusinghe. Della quale parlò diffusamente un giorno a pranzo davanti alla sua compagna di allora».
 Chi era?
«Anna Magnani, ovviamente. Li avevo accompagnati ad Amalfi e pranzammo all' Hotel dei Cappuccini. In quella lettera Ingrid chiedeva di incontrare il maestro e Roberto volò a Hollywood per vederla. Non so se ci fosse stato già qualcosa, ma la Magnani si era fatta sospettosa. E irascibile. Quando a tavola Rossellini cominciò a magnificare le qualità artistiche delle Bergman, Anna prese il piatto di pasta al sugo che aveva davanti e lo tirò in faccia a Rossellini. Poi gelida e furiosa come una regina se ne andò».
E Rossellini come reagì? 
«Con molta calma. Ricordo che disse una sola cosa: "Ah, le donne!". La Magnani continuò a essere gelosa. Quando Rossellini girò Stromboli con la Bergman, gli feci visita sul set. Qualche tempo dopo Aldo Fabrizi mi telefonò per dirmi che Anna mi voleva vedere a pranzo. Passò tutto il tempo a chiedermi com' era quell' americana sul set. Era ossessionata. Sospetto che l' insuccesso del film non dovette dispiacerle».
 Una donna più scomoda o ingombrante?
«Aveva un carattere impossibile. Aggressivo. Negli ultimi anni non riusciva a fare quasi più niente. Voleva che l' aiutassi a trovarle delle parti a teatro. La sua aspirazione era interpretare il ruolo della cattiva. La verità è che era stata una grande maschera del nostro cinema, grazie a Rossellini che seppe farle interpretare il dolore delle donne italiane. Il neorealismo non ha prodotto altre figure femminili all' altezza della sua».
Abbiamo avuto in seguito Gina Lollobrigida e Sophia Loren e i loro contrasti. 
«La Lollo è stata la mia più cara amica. Una Magnani senza tragedia. La rivalità con Sophia fu creata ad arte, come quella tra due ciclisti. E loro ci credettero così tanto che finirono per detestarsi. Si dice che le occasioni nel cinema sono fondamentali. E Sophia le ha sapute sfruttare tutte con grande abilità».
 A cosa allude?
«Al fatto che la sua carriera è stata magistralmente guidata dal marito Carlo Ponti. Visto che si parla di attrici vorrei ricordarne un' altra secondo me straordinaria: Monica Vitti. Fu Antonioni che me la fece scoprire al teatro Eliseo dove recitava. Puntò su di lei per il suo nuovo cinema, ne colse e ne sfruttò in pieno il talento. L' ho seguita in tutti i suoi lavori fino a quando la malattia l' ha rinchiusa nel suo buio».
La spaventa o la sconcerta che la bellezza e il successo hanno spesso una data di scadenza? 
«Nel caso della Vitti mi rattrista. Ma il cinema è un po' anche questo: vive al di sopra dei propri mezzi sentimentali. E poi ti abbandona. Mi ricordo certe sere al caffè Canova con Fellini, avvolto nello sciarpone rosso, che mi diceva: mi trattano come un pensionato. Eppure era stato immenso. Per me il più bugiardo e geniale tra i registi che ho conosciuto. Soffriva molto se non lo si lodava abbastanza».
Un insicuro? 
«Si era fatto parecchi anni di psicoanalisi. Parlava spesso dei suoi sogni, di quell' immaginario che lui legava al processo creativo e che popolava di atmosfere strane: figure deformi, donne grasse e un senso di morte leggero e inquietante».
Lei sogna?
 «Un sogno ricorrente è perdere la strada mentre sto andando dai miei genitori. Ma non so che senso attribuirgli. Dopo che ho sognato mi capita di scrivere molto».
La psicoanalisi lo consiglia. Ne fa pratica?
 «Non credo in quel metodo e non mi interessa raccontare i miei sogni a un altro. Quando cado preda dei momenti di ansia ho un medico che mi prescrive dei farmaci che mi tolgono le paure».
Non si direbbe un uomo ansioso. 
«Passo dei momenti in cui avverto l' ala della depressione scendere su di me. È come se sentissi un grande avvenire dietro le spalle. Fu Gassman a coniare questa espressione. Sa qual è il problema? Non accetto la mia età, da ogni punto di vista la osservo, rifiuto l' idea che ho quasi 92 anni. Non voglio ripiegare su me stesso».
Non le è sufficiente quello che fa? 
«Non mi basta. Passo la mattina a leggere, o andare in accademia, al Donatello; ma ho il bisogno di costruire. Ho creato premi, festival. Non mi rassegno alla noia, al non far niente, alla morte».
C' è un' età in cui si comincia a ripiegare le vele. 
«E perché? Chi lo ha detto? L' anno scorso è morta mia moglie. Mi ha molto sconcertato, in genere le mogli sopravvivono ai mariti».
Sconcertato e non addolorato?
 «Non me lo aspettavo. Perché lei? Mi dicevo. Il dolore ho cercato di nasconderlo. Non sono mai stato un tipo espansivo».
C' è una misura nelle cose? 
«Occorre trovarla. Nel lavoro come nella vita».
Nella sua lunga carriera di critico è sempre stato oggettivo, giusto, adeguato?
 «Ci ho provato».
È stato anche un censore al servizio della pubblica morale.
 «Dicevano che se avessi potuto avrei messo le mutande alle Naiadi di Piazza Esedra».
Lo avrebbe fatto? 
«Ho passato un periodo in cui mescolavo religione e professione. Oggi faccio autocritica. Vivo la religione in modo più consapevole».
È un moralista pentito?
 «Spero mi venga riconosciuto».
A proposito di riconoscimenti che la riguardano ho appreso di una lista di premi impressionante. Le piacciono le onorificenze? 
«Mi piacciono, è il mio limite. Mio fratello Brunello, quando con Fellini scrisse la sceneggiatura di Ginger e Fred, mise nel film l' uomo più decorato d' Italia, quella figura permanentemente in frac voleva essere la mia parodia. Fui insignito da giovane della Legione d' Onore. E molto altro. Che dire? Guardi quel grande quadro».
Quello in cui è avvolto in un mantello? 
«Sì, è un mio ritratto di quando entrai nell' Ordine del Cavalieri di Malta».
Non le sembrano immagini di una vanità eccessiva?
 «A volte penso che sia il cinema a trasmettere i germi di questa vanità. Ma se glielo dico è perché c' è sempre un ravvedimento».
Vedo anche molti quadri che ritraggono una donna. 
«È mia madre. Ho chiesto, nel corso degli anni, ad artisti importanti come De Chirico, Vespignani, Clerici, Caruso, Maccari e tanti altri di farle un ritratto».
Devozione filiale.
«A lei devo tutto: le mie letture, il formarsi del gusto e le scelte nella vita. La sua morte nel 1979 fu straziante per lei e per me. Però continuo a parlarle, come in una specie di dialogo ininterrotto. Sono convinto che non sia un' illusione, resto un uomo razionale che sa che la realtà è qualcosa di tangibile. Ma anche quell' altra è in qualche modo realtà».
Sente delle voci? 
«Per carità, non sono mica Giovanna d' Arco. È il mio intimo più riposto che affiora e sono io che immagino questi dialoghi. Non ci faccia caso, alla mia età si può fantasticare. Molto più che in passato. È uno dei pochi privilegi che la vecchiaia può vantare senza essere presi per pazzi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ANTONIO GNOLI

FONTE: http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2013/07/22SIL1155.PDF

  •  https://it.wikipedia.org/wiki/Gian_Luigi_Rondi
  • http://www.repubblica.it/spettacoli/cinema/2016/09/22/news/gian_luigi_rondi_addio_al_grande_critico-148291710/

sabato 17 ottobre 2015

Facce da Prima Repubblica e dintorni

Pubblico dei bozzetti di politici della Prima Repubblica fatti da Ugo Sajini  quando collaborava a diversi quotidiani, e lo facevano lavorare sulle caricature. Ugo, famoso disegnatore umorista e satirico, nei giorni scorsi molto gentilmente li ha condivisi sulla sua pagina Fb, per farmi capire come e quanto si doveva lavorare per evidenziare i tratti salienti dei vari personaggi, cosa che purtroppo si è un po' persa ultimamente.
Erano gli anni 80/90 quelli della Prima Repubblica...


Facce da Prima Repubblica - De Mita 24 giugno 1983





Bettino Craxi firmava con lo pseudonimo "Ghino di Tacco" i suoi articoli e i suoi editoriali di analisi politica pubblicati dal giornale l'Avanti!, organo del Partito Socialista Italiano (PSI) ed arrivò a scriverne una biografia. Lo pseudonimo venne preso come risposta adottando l'epiteto con il quale il direttore de La Repubblica Eugenio Scalfari aveva spregiativamente accostato la sua «rendita di posizione», nel quadro politico italiano, a quella del celebre bandito medievale che, dalla rocca di Radicofani, calava sui viandanti della via Francigena, allora unica via di comunicazione tra Firenze e Roma.





Facce da Prima Repubblica - Sandro Pertini -
Campionato del Mondo di Calcio 1982





Facce da Prima Repubblica - schizzo preparatorio



Gianni De Michelis legge Olindo Guerrini



Facce da Prima Repubblica ... e dintorni
Wojciech Jaruzelski e  Solidarność
Ex Presidente della Polonia







Facce da Prima Repubblica...e dintorni -
Leonid Breznev
Interesse per il Mediterraneo . 198..?




Facce da Prima Repubblica - Nilde Jotti 199.?



Facce da Prima Repubblica - Pietro Longo 19..?



Facce da Prima Repubblica - Giulio Andreotti 19..?



Facce da Prima Repubblica - Ciriaco De Mita 199.?
-



Pietro Longo segretario del PSDI
Piduista DOC, nell'elenco degli iscritti alla P2 in ordine alfabetico dopo Longo veniva Manca socialista ex Pres Rai.




Scrive di Ugo Sajini Dino Aloi in Buduàr n°6 pag.47

Ugo per tutti, tutti per Ugo

Ugo Sajini normalmente è abituato a realizzare vignette senza parole. E' il mezzo che preferisce per comunicare anche per il fatto che, in questo modo, i disegni diventano immediatamente esprtabili anche all'estero, dove possono essere compresi con grande facilità.
continua  


Note Biografiche di Ugo Sajini:
Nasce il 17 ottobre del 1947. Nel 1960 già disegna umorismo. Dal 1970 collabora con numerose testate, dalla rivista di fumetto Eureka all'edizione italiana di Playboy e al quotidiano Popolo di Roma.
Viene premiato in numerose rassegne in Italia e all'estero, da Montreal a Marostica e a Lecce.
Vive tra Vigevano, nella bella Lomellina, e lo spezzino, nelle belle 5 terre dove dice di far finta di coltivare la vite.

venerdì 10 maggio 2013

Giulio Andreotti (terza ed ultima parte)

Terza ed ultima parte delle vignette 
coccodrillo Andreotti:

Valerio Marini


Gooogle Andreotti
Marco Tonus

 
 Mario Dimpo


Mario Dimpo
http://www.facebook.com/photo.php?fbid=10200931209672852&set=a.1034313948467.2006707.1543986138&type=1&theater
Male 1979



Claudio Cadei


Giulio Andreotti
14 gennaio 1919 – 6 maggio 2013
Marco Martellini

Evoluzione (?)
http://www.fanofunny.com/guests/ortica/index.html

 Marco Martellini
 
Gianni InkyJohn






Andreotti Non Esiste
Etichette: andreotti, la mafia non esiste, magnasciutti
 Fabio Magnasciutti






non c'è più
non c'è più
non c'è più
dovrò ripetermelo per un sacco di tempo
l'ho trovato sul pianeta quando sono arrivato
e ormai davo per scontato di lasciarcelo
quando me me sarei andato...e invece
non c'è più
non c'è più NON C'E' PIU'
uh uh uh

Riccardo Mannelli
 


VAURO
 


Paride Puglia
 


Mario Bochicchio
 



R.I.P. Andreotti.
Tomas
 
 



Giannelli - Corriere della sera



Ignazio Piscitelli
 
 
 08/05/2013
Se l’è andata a cercare

massimo gramellini
Mentre il consiglio regionale della Lombardia rendeva omaggio al fantasma di Andreotti, il capo dell’opposizione Umberto Ambrosoli è uscito dall’aula. Suo padre, l’avvocato Giorgio, fu ammazzato sotto casa in una notte di luglio per ordine del banchiere andreottiano Sindona: aveva scoperto che costui era un riciclatore di denaro mafioso. Trent’anni dopo Andreotti commentò l’assassinio di Ambrosoli con queste parole: «Se l’è andata a cercare».

Il perdono è una cosa seria. E’ fatto della stessa sostanza del dolore e si nutre di accettazione e di memoria, non di ipocrisie e rimozioni forzate. La morte livella, ma non cancella. Con buona pace del quotidiano dei vescovi che ieri titolava: «Ora Andreotti è solo luce». Per usare una parola alla moda, Andreotti era divisivo. Lo era da vivo e lo rimane da morto. Purtroppo anche Ambrosoli. Perché esistono due Italie, da sempre. E non è che una sia «buona» e l’altra «cattiva», una di destra e l’altra di sinistra (Giorgio Ambrosoli era un liberale monarchico). Semplicemente c’è un’Italia cinica e accomodante - più che immorale, amorale - che non vuole cambiare il mondo ma usarlo. E un’altra Italia giusta e severa - più che moralista, morale - che cerca di non lasciarsi cambiare e usare dal mondo. Due Italie destinate a non comprendersi mai. Un’esponente lombarda del partito di Berlusconi ha detto che il figlio di Ambrosoli ha mancato di rispetto al morto. Non ricorda, o forse non sa, che anche Andreotti aveva mancato di rispetto a un morto. Quell’uscita dall’aula se l’è andata a cercare.


Questa è la telefonata del killer di Ambrosoli.




Bandanax L'asino




Soria



Giorgio Forattini



 Game Over
Umberto Romaniello


Stefano Trucco



Il coccodrillo come fa

È morto Andreotti. Sicuramente c'entra Andreotti.

È morto Andreotti. Ma la morte nega di averlo baciato.

Andreotti è freddo, immobile e non parla più. Sembra vivo.

La notizia della morte di Andreotti è stata data dalla famiglia. Ma allora non è vero che non lo vedevano dal 1980.

La figura di Andreotti ha attraversato più volte la storia della Repubblica. Noi eravamo le strisce.

Andreotti ha guidato il Paese per sette volte. Siate buoni, oggi nessuno intervisti Bersani.

Andreotti era in politica da più tempo della regina Elisabetta. E se voleva poteva indossare due cappelli.

(Comunque è incredibile: non ti puoi distrarre 94 anni che muore Andreotti)

Schifani: «Andreotti è il simbolo della nostra vita democratica». Soprattutto ora.

[Ma come, solo nove battute? Provate a ricaricare la pagina cliccando sull'immagine e avrete una sorpresa]
By SPINOZA


FINE
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Povero vecchio Giulio... lassù qualcuno lo aspetta.

 
Ei fu... Giulio Andreotti 



mercoledì 8 maggio 2013

Giulio Andreotti (seconda parte)





Serenamente
CeciGian

 
A volte ritornanoCeciGian

 
Ali (4 maggio 2012) 
CeciGian


way down in the hole
 l'affetto dei suoi cani
fabiomagnasciutti


Camel senza filtro
fabiomagnasciutti



Tullio Boi



Luciano Lodoli




una più del diavolo
Franco Stivali

tomas


Pierfrancesco Uva


Krancic







Andreottwitter
massimo gramellini
Una volta Montanelli scrisse che in chiesa De Gasperi e Andreotti si dividevano i compiti: De Gasperi parlava con Dio e Andreotti col prete. «Sì, ma a me il prete rispondeva», gli replicò Andreotti. Forse ora toccherà a lui parlare con Dio e non se la potrà cavare con una delle sue battute. Ciniche, gelide, brevi: da star di Twitter prima di Twitter. Se Dio esiste, ci sono forti dubbi che sia democristiano (ecco, questa potrebbe averla detta lui) e meno che mai della sua corrente, per un pregiudizio anzitutto estetico (Sbardella, Vitalone, Evangelisti: più che ritratti sono foto segnaletiche).

Senza l’ambizione di rubare il mestiere al pubblico ministero celeste, un lungo soggiorno in purgatorio deve averlo messo in preventivo anche Andreotti. Fin dal giorno in cui, ancora imberbe, decise di sporcarsi le mani con il potere. Perché il potere logora chi non ce l’ha, ma sporca tutti coloro che lo toccano, e chi sostiene il contrario è solo un fanatico, o un ipocrita.

Resta l’ironia, molto andreottiana, della scomparsa di un uomo che dopo sessant’anni di vita pubblica sembrava incarnare la prova dell’immortalità: non dell’anima, ma del corpo. Se ne va col suo carico intatto di misteri, ma dopo averne chiarito almeno uno: non è vero che tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia, come recita uno dei suoi tweet più celebri. Proprio perché a tutti succede di tirarle, prima o poi, tanto vale campare a testa alta e a cuore acceso.



Milko




Milko Dalla Battista


Il coccodrillo come fa





 
È morto Andreotti. Immagina, puoi.

È morto Andreotti. Chissà cosa ha avuto in cambio.

(Avevo in serbo una battuta per questa occasione. Ma oggi stonerebbe il riferimento al Commodore 64)

Niente camera ardente per Andreotti. Avrà un girone tutto suo.

Domani i funerali di Stato. A seguire quelli di Andreotti.

Berlusconi: «Con Andreotti c'era un'Italia che voleva la libertà». Per questo fecero l'aula bunker.

«Il potere logora chi non ce l’ha» è la frase perfetta per il suo epitaffio. Di Bersani, dico.

Daniela Santanchè: «Andreotti non sia ricordato solo per il bacio a Riina». Pochi infatti sanno di quel pompino a Provenzano.

Giorgio Napolitano: «Lo giudicherà la storia». È l'ultima chance.
[Ma come, solo nove battute? Provate a ricaricare la pagina cliccando sull'immagine e avrete una sorpresa] 
By SPINOZA 

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Povero vecchio Giulio... lassù qualcuno lo aspetta.

 
Ei fu... Giulio Andreotti 



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